Pro Loco Guiglia
Piazza Belvedere 4 – 41052 Guiglia (MO)
Tel. 334/2356329
E-Mail: info@prolocoguiglia.it
PEC: prolocoguiglia@pec.aitec.it
Sito: www.prolocoguiglia.it
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Traduzione dell’articolo del Washington Post del 20 ottobre del 1985
Il settantaseienne Giovanni Brandi, di Guiglia, il più vecchio dei “Borlengai” italiani, ha realizzato Borlenghi per oltre 50 anni.
PRESENTIAMO IL BORLENGO
Il teatrale pane al tegame italiano dal diametro di un piede e mezzo.
di Cara De Silva
Edizione straordinaria del Washington Post
Dalla Ciupeta – il pane ferrarese a forma di corona, – al pane co’ santi – il pane toscano alle noci e al pepe nero – al marteller schnittla-pag – la pagnotta tirolese all’erba cipollina a forma di ferro di cavallo – il pane italiano è tra i più fantasiosi e diversi del mondo. La topografia, la storia, l’agricoltura e un campanilismo ad alto livello hanno contribuito a riempire lo stivale, quei come fosse una gigantesca calza della Befana, di una serie straordinaria di forme, di tipi e di aromi di pane diversi.
Tuttavia anche tra tutta questa abbondanza di farinacei emerge il pane delle montagne modenesi. Qui, ai piedi dell’Appennino, si trovano pagnotte fatte di farina di castagne o profumate con le foglie di castagno, crescentine cotte in stampi decorati di argilla e di ghiaino, e un mucchio di tipi diversi di pane fritto (Gnocco fritto) del genere “scommetto che non riesci a mangiarne una sola varietà”. Fortunatamente la gente si offenderebbe se uno ci provasse.
Queste particolari paste o pastelle fritte si servono generalmente come spuntini o antipasti, insieme a vassoi di prosciutto e di altri salumi e a piattini di sottaceti.
Ma talvolta, come nel caso del colossale Borlengo, possono anche essere servite senza accompagnamento. Questo teatrale pane montanaro – simile a una frittella, trasparente dal diametro di quasi un piede e mezzo – si frantuma come una patatina quando la si morde lasciando che frammenti di aglio, rosmarino e parmigiano si sciolgano in bocca. Non richiede decorazioni.
Il Borlengo, in una versione o nell’altra, è noto almeno fin dal Medioevo e da allora è stato l’argomento di feroci dispute – le nostre controversie sul chili con o senza fagioli o sul barbecue sono semplici battibecchi in confronto. Ma in Italia questo appassionato e polemico interesse sul cibo deriva dall’entroterra culturale e la battaglia dei borlenghi si conduce su parecchi fronti:
– La creazione: è nato dalla privazione e dalla necessità o in una lotta selvaggia d’immigrazione culinaria?
– Gli ingredienti: il vero Borlengo dovrebbe contenere uova?
– E, più importante di tutte, l’autentica provenienza: è originario di Guiglia, Zocca o Vignola?
I rivali in questa triplice battaglia a tutela del Borlengo sostengono le loro tesi, tra l’altro, con leggende locali.
Quelli di Guiglia, la cui tesi sembra essere la più vecchia e quindi forse la più valida, raccontano la loro storia in questo modo:
Nel 1266 il Conte Ugolino, i suoi soldati e i suoi seguaci furono intrappolati nel castello posto su un promontorio sopra la città.
Circondati da 7000 nemici, tagliati fuori dal rifornimento di viveri, con grande perplessità dei loro avversari, riuscirono a sopravvivere. Che trucco c’era sotto?
Ugolino, un signore generoso e gran gastronomo, apriva di frequente i cancelli del palazzo alla gente del popolo e, in segno di generosità, dispensava vino speziato e pani impastati d’acqua e farina detti focacce. Allora, spinto dalla necessità, con poca farina rimasta per sfamare l’esercito, cominciò ad aggiungere acqua alla pasta base delle focacce.
Ogni giorno per tutta la durata dell’assedio aggiunse più acqua finché, alla fine, la casa era diventata una pastella simile al latte che produceva un pane così sottile da essere chiamato burla, scherzo (da cui il nome Borlengo).
Qualunque verità possa esserci nei dettagli della leggenda, era arrivato il tempo per il nuovo cibo (sia che sia stato trasportato da chi per ultimo fuggì dal castello e che si sia poi sviluppato anche il altri luoghi). Si diffuse rapidamente in tutta la montagna diventando uno degli spuntini preferiti nelle fiere medievali. Fu forse ad una di queste feste che un borlengaio decise di migliorare le vendite ingrandendo il pane croccante fino alle attuali stupefacenti dimensioni – facendone una burla ancora più grande, più divertente e più invitante?
Se un tempo i Borlenghi erano semplicemente una saporita aggiunta alle feste, ora, almeno a Guiglia, sono invece un occasione di festa. Negli ultimi 15 anni sia per ribadire pubblicamente le proprie tesi, sia per celebrare la memoria del bravo Ugolino, la città ha sponsorizzato la Sagra del Borlengo, la festa, come si dice con orgoglio, del buon Borlengo di Guiglia.
Tenuta ogni primavera nella piazza del paese che guarda il verde lussureggiante della valle di Vignola, la festa segna la fine della stagione dei Borlenghi che, per tradizione, è l’autunno e l’inverno. Una tenda enorme adattata a cucina e lunghi tavoli di tipo familiare vengono preparati per accogliere i turisti e le folle di Italiani che trascorrono una domenica fuori porta.
I Borlengai, un gruppo di oltre 30 uomini (a preparare i Borlenghi sono tradizionalmente gli uomini, a Guiglia, gli altri pani le donne) vengono sistemati davanti a singoli bracieri a gas. Là, al suono della banda e tra il chiocciare dei polli in libertà, mostrano con orgoglio (e con grande brio) la loro antica tradizione, il “trucco” vecchio di 700 anni che una volta ingannò i nemici di Ugolino e che da allora è stato una occasione per incrociare le le spade e per mangiar bene.
I Borlenghi di Guiglia sono uno splendido spuntino pomeridiano, un cibo per un insolito picnic o un robusto preludio a un pranzo informale. Qualunque sia l’occasione, accompagnateli con un leggero vino rosso italiano, che gioca una parte così importante mentre si mangiano i Borlenghi da poter essere considerato un ingrediente della ricetta stessa. Nella montagna modenese, la scelta cadrebbe sul Lambrusco giovane, spumeggiante, profumato di violette e particolarmente adatto a i cibi ricchi. Ma poichè il lambrusco disponibile qui tende a essere molto poco attraente, è preferibile prova qualcosa di diverso come un sangiovese, una santa Maddalena, o un dolcetto o un valpolicella classico, più facilmente reperibili.
Sebbene siano spesso i cibi più semplici a presentare le maggiori difficoltà di preparazione casalinga, è possibile adattare il Borlengo alla cucina americana, tranne, naturalmente, che nella dimensione. Questi pani croccanti saranno una delle cose più curiose che voi abbiate mai cucinato. Vibreranno, si spaccheranno, fumeranno, si addenseranno, si assottiglieranno, si oscureranno e si rischiareranno; appariranno buffi, frastagliati, disuguali e avranno delle gocce una diversa dall’altra per quanto possa sembrare possibile nello spazio di una padella. Talvolta sembrano avere piccole menti proprie. E tutto normale, non preoccupatevi.
I Borlenghi richiedono una certa pazienza; la grande quantità d’acqua nella pastella (più liquida è la pastella più croccante sarà il risultato) impiega molto tempo ad evaporare, e poiché il Borlengo dovrebbe essere cotto a fuoco relativamente basso, la lavorazione non può essere affretta di molto. Fortunatamente, però i Borlenghi possono essere cotti un po’ prima e riscaldati brevemente. Effettivamente il modo più pratico di trattarli anche in Italia. Usate due padelle circa della stessa misura (un pollice o due di differenza non ha importanza) e fatene due alla volta per accelerare le cose.
Sebbene, in generale, i Borlenghi non richiedano moltissima attenzione, pretendono però una speciale attenzione per assicurarsi che cuociano bene. In modo ideale, dovrebbero essere cotti sulle braci come lo sono stati da centinaia d’anni (i bracieri a gas usati a Guiglia sono stati progettati per fornire con un sistema moderno e più conveniente lo stesso tipo di calore). In mancanza di questi, la padella deve essere accuratamente scelta e, se necessario, girata così che la parte di Borlengo che si cuoce in modo ineguale sia posta sopra il calore.
Se avete un macellaio che si faccia il proprio lardo o se siete disposti a farvelo da soli, il risultato sarà molto più gustoso che se usate un lardo commerciale, anche se si può certamente fare pure con quello. Altrimenti se preferite, la cunza si può cuocere nel burro, ma non sarà la stesa cosa, sia per quanto riguarda il gusto che per l’autenticità. Il grasso fondamentale di cottura della regione è lo strutto, non il burro.
Il numero dei Borlenghi che vi serve dipenderà, naturalmente dall’occasione calcolatene almeno due a persona per uno spuntino leggero o un’antipasto, aumentando il numero per un pasto più sostanzioso. I Bolenghi non son un cibo per gli schifiltosi, si mangiano con le mani e vi imbrattano meravigliosamente. Avvolgete un tovagliolo di carta intorno a ciascuno di essi prima di servirlo.
Per il condimento:
– 1/2 tazza di lardo di buona qualità
– 2 cucchiaini di aglio tritato
– 3/4 di cucchiaino di sale
– pepe nero macinato di fresco a piacere
– 2 rametti di rosmarino fresco
Per il Borlengo:
– 1 tazza più 2 cucchiai di farina 0
– 1/2 tazza più un cucchiaio di farina 00
– 6 tazze d’acqua
– 2 cucchiai di uovo sbattuto
– 1 cucchiaino di sale
– 1 pezzo da 6 once di Parmigiano Reggiano grattugiato di fresco (circa 12 cucchiai)
Fate sciogliere il lardo a fuoco molto basso in un tegamino o in una padellina a doppio fondo, aggiunge l’aglio, il sale e il pepe; mescolate e aggiungete il rosmarino. Tenendo il fuoco più basso possibile “pestate” l’aglio nel lardo per 15 minuti senza farlo colorire o friggere. Se il vostro regolatore no vi permette di abbassare sufficientemente il colore, togliete il composto dal fuoco il tempo necessario per impedire la colorazione, e rimettetelo sul fuoco quando si è leggermente raffreddato. Quando l’aglio è appassito e di sapore delicato, togliete dal fuoco e mettete da parte il composto.
Mentre si cuoce il condimento, mescolate le due farine con una tazza e mezzo d’acqua e l’uovo. Con un miscelatore elettrico battete la miscela a velocità media per 3-4 minuti. Mescolate -non sbattete- l’acqua rimanente nella miscela. Aggiungete il sale. La pastella sarà molto liquida, appena un po’ più spessa del latte. Fate passare attraverso un colino fine per togliere i grumi. Lasciate riposare per 15/20 minuti.
Con un pennello da cucia spingete l’aglio a il rosmarino ai lati della pentola. Mettete una padella di 10-12 pollici col doppio fondo antiaderente oppure una piastra su un fuoco medio-basso. Riscaldate fino a quando una gocciolina di acqua lasciata cadere sul fondo della padella non sfrigoli senza schizzare. (E’ fondamentale che la padella non sia troppo calda, se lo è la pastella si attaccherà alla superficie della padella e comincerà a friggere. E’ meglio sbagliare sul troppo freddo piuttosto che sul troppo caldo).
Mentre la padella si scalda, mescolate bene la pastella assicurandovi di rimuovere la farina che si è depositata sul fondo, quando la padella è pronta spargete immediatamente il fondo della stessa con un leggero strato di strutto, assicuratevi di ungere completamente il fondo della padella, usando circa 2/3 di tazza per una padella di 0 pollici, 3/4 di tazza per una padella di 11 pollici o 7/8 di tazza per una padella di 12 pollici, ora versate la pastella e assicuratevi che si espanda uniformemente su tutta la padella.
In pochi secondi la pastella avrà preso consistenza e formerà uno strato opaco sul fondo della padella e apparirà come il bianco di un uovo quasi cotto, mentre l’acqua della pastella si salderà e e comincerà ad evaporare e sacche di vapore si formeranno sotto il Borlengo. A questo punto assomiglierà ad una luna splendente piena di bolle. Dopo due o tre minuti parecchie bolle si espanderanno spiede dalla forza del vapore e causeranno il sorgere di piccole spaccature frastagliate (assicuratevi di mantenere basso il calore in questa fase, se il vapore forma troppa pressione, la sua forza creerà lacerazioni enormi).
Mentre ‘acqua continua a evaporare la massa nella padella si trasformerà in una coltre perdendo la lucidità precedente e comincerà ad assottigliarsi, Controllate il Borlengo periodicamente per assicurarsi che cuocia in modo uniforme. In caso contrario ruotate la padella o muovetela verso destra o sinistra per concentrare il calore sotto quella parte di Borlengo che ne ha bisogno; l’assottigliamento è un processo graduale, il Borlengo necessita da 20 a 30 minuti dall’inizio alla fine e si cuoce meglio a fuoco basso.
Ma se siete impazienti, dopo 15 minuti di cottura, potete alzare il calore a media temperatura, stando particolarmente attenti ad evitare il formarsi di bolle marroni sulla superficie del Borlengo, Alcune di queste macchie sono ammissibili, ma troppe comprometterebbero il gusto e la consistenza del Borlengo.
Quando il Borlengo si è asciugato completamente ed ha formato un cerchio friabile, ma ancora pieghevole, fate scorrere una forchetta o una spatola piano torno agli orli per staccarli dalla padella e poi fate scivolare la spatola sotto il Borlengo, dovreste essere in grado di vedere la spatola sotto il Borlengo.
Girate il Borlengo, se lo servite immediatamente spalmate la superficie di un leggero strato di condimento, cuocetelo per altri 60 secondi circa e quando il condimento fa le bollicine cospargetelo con un cucchiaio o più a seconda del gusto di parmigiano reggiano, piegate il Borlengo in quarti (parte di esso si romperà e parte di esso si piegherà) e servite immediatamente.
Ripetere l’intera procedura con l’altro Borlengo, facendo molta attenzione a mescolare bene la farina e a far raffreddare un pochino la padella (a Guiglia questo si fa ondeggiano la padella in aria) e a togliere le briciole prima di proseguire. Se fate i Borlenghi, ma non li servite immediatamente, non cospargeteli di condimento, quando hanno finito di cuocere sul secondo lato, toglieteli dalla padella, appoggiateli su di un tovagliolo di carta e capitelo con carta oleata.
Ripetete l’operazione mescolando la pastella e raffreddando la padella finca tutti i Borlenghi non sono stati fatti, più tardi, proprio prima di servire, mettete la padella sul fuoco a calore medio. Mescolate il condimento per amalgamare gli ingredienti e ungete leggermente la padella. Mettete il Borlengo nella padella riscaldata per farlo rinvenire e diventare croccante. Dopo qualche secondo giratelo e cospargetelo leggermente di condimento, poi di parmigiano reggiano e servitelo come detto sopra. Rietete finché tutti i Borlenghi non sono stati riscaldati, finiti e serviti.
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La tradizione di fare i borlenghi veniva tramandata di padre in figlio, di famiglia in famiglia e nella miseria dei secoli passati questa preparazione culinaria era una risposta alla fame: durante l’inverno in particolare il camino era acceso e le braci erano sempre a disposizione per essere disposte sotto il “sole”, ovvero la particolare padella in rame stagnato dove venivano cotti. Un tempo infatti si cuocevano nel camino e anche nelle cucine economiche.
“Un Burlèng, un bicèr ed vèin e as campa ‘na vèta” (un borlengo, un bicchiere di vino e si campa una vita), si diceva.
A Guiglia si ricordano mitici borlengai che andavano alle case a fare i borlenghi; diciamo così, degli specialisti, dotati dell’attrezzatura necessaria.
“Stasira fammia i burlang” (Questa sera facciamo i borlenghi)? Ed era una festa… si radunavano da una o dall’altra famiglia un gruppo di persone, poi si chiamava il borlengaio.
Il Borlengo fino a qualche decennio fa era poco conosciuto fuori dalla stretta cerchia del territorio tradizionale di produzione fino a quando vennero istituite una serie di manifestazioni per valorizzare questo particolare cibo, tra queste si ricordano: il Borlengo d’oro manifestazione nella quale i borlengai dei vari paesi si contendevano la palma del migliore, la Sagra del Borlengo in calendario annualmente a Guiglia fin dal 1967, la Scuola Internazionale del Borlengo della Pro Loco di Guiglia. Ed è proprio grazie a queste iniziative che il Borlengo, riscoperto da un paio di decenni, ha ormai raggiunto una popolarità che, per la prima volta dopo tanti secoli di storia, sta uscendo dal ristretto confine del territorio tradizionale di produzione.